Testo pubblicato da Alessandro Berti su Facebook il 14 agosto 2017, a pochi giorni dallo sgombero del Centro Sociale Labàs.
La questione dello sgombero del Labas è importante anche per il luogo fisico, via Orfeo, nel cuore di un quartiere del centro di Bologna, forse il quartiere più bello del centro, dove l'esperienza ha preso corpo. Che centro storico vogliamo? Io, a Casavuota, il mio piccolo atelier teatrale in via San Felice, pago un affitto. Non è una notazione polemica: è un atelier di un artista, è giusto che io paghi. La questione semmai potrebbe essere: perché sembra non esserci alternativa a occupare (spazi adatti al tuo progetto che mai ti darebbero in affitto) o pagare (spazi meno adatti ma che puoi permetterti)? Naturalmente ci sarebbe l'anticamera istituzionale, la tristezza delle libere forme associative e delle loro stanzette, e allora bisognerebbe toccare qui il tema delle convenzioni, dei criteri e del sistema di relazioni che ci sta dietro, del grigiore burocratico e delle mafiette, della trasformazione di artisti in funzionari ecc., ma lasciamo perdere per ora, diciamo solo: pagare e occupare sono i due sistemi che permettono a un'iniziativa culturale tempi e modi di impresa più veloci e informali di quelli italiani, diciamo: più europei.
Dunque: io (che sono troppo solitario per metter su un gruppo di occupanti) pago un affitto per fare cultura in una strada del centro che per il resto oggi è fatta di negozietti di abbigliamento chic (eccezioni: la Libreria delle Donne, il circolo dei tramvieri, la palestra della Fortitudo). Di umanità in verità ce n'è ancora, tra vetrina e vetrina: l'homeless storico che legge La Repubblica, qua sotto, che Minniti non è riuscito ancora a scacciare, qualche antico tossico, alcuni salvatori di gatti e piccioni, che danno briciole e scatolette ecc. Tutte figure che squalificano esteticamente la via e la qualificano umanamente. Poi ci sono i miei vicini: otto rifugiati africani e uno studio legale. E un'accozzaglia del genere, va detto, in un condominio piccolo, di tre appartamenti (un atelier teatrale, tre avvocatesse borghesi e otto neri appena sbarcati) la potevano tentare solo dei cattolici, forse sferzati da questo nuovo vescovo, e infatti la proprietà è ecclesiastica. Tornando alla via, alcune botteghe alimentari stanno chiudendo, altre resistendo, botteghe artigianali, che vendono prodotti del sud buoni a un prezzo normale e che però sono in crisi. Mentre aprono le piccole InCoop, PamLocal e CarrefourExpress un po' dappertutto, cioè piccoli supermercati da turisti. E per le cose un po' radical chic (cioè di un qualche sapore, anche se sempre meno, a un prezzo decente, anche se sempre meno) c'è Eataly, Mercato di Mezzo e Mercato delle Erbe. Ecco, questa è una geografia del consumo alimentare, ad esempio, già tipicamente da città turistica, pur in salsa neo-cooperativa. Per una disanima di che cos'è, compiutamente, una città turistica, allego quest'anteprima del nuovo libro di Marco D'Eramo, molto istruttiva. Secondo me, a Bologna, bisognerebbe combattere per un futuro diverso. La difesa, e la rinascita, di posti come Labas o XM24, alternativi, informali, conviviali dal basso, politicamente spurii (la loro forza rimane quella: un'imprendibilità anche loro malgrado, data dalla folla di persone che li ha riconosciuti come preziosi anche al di là delle etichette politiche) entra in questa battaglia contro la messinscena turistica che ci aspetta.
https://www.che-fare.com/marco-deramo-la-citta-turistica-c…/
RESISTING IN THE CITY OF TRENCHERS
Statement published by Alessandro Berti on Facebook on august 2017, 14th, a few days after the eviction of Labas Social Centre.
La questione dello sgombero del Labas è importante anche per il luogo fisico, via Orfeo, nel cuore di un quartiere del centro di Bologna, forse il quartiere più bello del centro, dove l'esperienza ha preso corpo. Che centro storico vogliamo? Io, a Casavuota, il mio piccolo atelier teatrale in via San Felice, pago un affitto. Non è una notazione polemica: è un atelier di un artista, è giusto che io paghi. La questione semmai potrebbe essere: perché sembra non esserci alternativa a occupare (spazi adatti al tuo progetto che mai ti darebbero in affitto) o pagare (spazi meno adatti ma che puoi permetterti)? Naturalmente ci sarebbe l'anticamera istituzionale, la tristezza delle libere forme associative e delle loro stanzette, e allora bisognerebbe toccare qui il tema delle convenzioni, dei criteri e del sistema di relazioni che ci sta dietro, del grigiore burocratico e delle mafiette, della trasformazione di artisti in funzionari ecc., ma lasciamo perdere per ora, diciamo solo: pagare e occupare sono i due sistemi che permettono a un'iniziativa culturale tempi e modi di impresa più veloci e informali di quelli italiani, diciamo: più europei.
Dunque: io (che sono troppo solitario per metter su un gruppo di occupanti) pago un affitto per fare cultura in una strada del centro che per il resto oggi è fatta di negozietti di abbigliamento chic (eccezioni: la Libreria delle Donne, il circolo dei tramvieri, la palestra della Fortitudo). Di umanità in verità ce n'è ancora, tra vetrina e vetrina: l'homeless storico che legge La Repubblica, qua sotto, che Minniti non è riuscito ancora a scacciare, qualche antico tossico, alcuni salvatori di gatti e piccioni, che danno briciole e scatolette ecc. Tutte figure che squalificano esteticamente la via e la qualificano umanamente. Poi ci sono i miei vicini: otto rifugiati africani e uno studio legale. E un'accozzaglia del genere, va detto, in un condominio piccolo, di tre appartamenti (un atelier teatrale, tre avvocatesse borghesi e otto neri appena sbarcati) la potevano tentare solo dei cattolici, forse sferzati da questo nuovo vescovo, e infatti la proprietà è ecclesiastica. Tornando alla via, alcune botteghe alimentari stanno chiudendo, altre resistendo, botteghe artigianali, che vendono prodotti del sud buoni a un prezzo normale e che però sono in crisi. Mentre aprono le piccole InCoop, PamLocal e CarrefourExpress un po' dappertutto, cioè piccoli supermercati da turisti. E per le cose un po' radical chic (cioè di un qualche sapore, anche se sempre meno, a un prezzo decente, anche se sempre meno) c'è Eataly, Mercato di Mezzo e Mercato delle Erbe. Ecco, questa è una geografia del consumo alimentare, ad esempio, già tipicamente da città turistica, pur in salsa neo-cooperativa. Per una disanima di che cos'è, compiutamente, una città turistica, allego quest'anteprima del nuovo libro di Marco D'Eramo, molto istruttiva. Secondo me, a Bologna, bisognerebbe combattere per un futuro diverso. La difesa, e la rinascita, di posti come Labas o XM24, alternativi, informali, conviviali dal basso, politicamente spurii (la loro forza rimane quella: un'imprendibilità anche loro malgrado, data dalla folla di persone che li ha riconosciuti come preziosi anche al di là delle etichette politiche) entra in questa battaglia contro la messinscena turistica che ci aspetta.
https://www.che-fare.com/marco-deramo-la-citta-turistica-c…/
RESISTING IN THE CITY OF TRENCHERS
Statement published by Alessandro Berti on Facebook on august 2017, 14th, a few days after the eviction of Labas Social Centre.
The
issue of the clearing out of the LABAS social centre in Bologna is
important for many reasons and one of them is the place where this
experience has started and developed over the years: via Orfeo, in
the heart of a neighbourhood in the very centre of Bologna, perhaps
the finest area in the city centre. What kind of city-centre do we
want? In Casavuota, my little art-atelier in via San Felice, another
street in the centre, I pay a rent. It's not a critical note: it is
an artist's atelier, it is normal to pay. The question could be
another: why there seems to be no alternative between occupying
(places suitable for your project that the owners would never lease
to you) or paying (less suitable places you can afford)? Of course
there could be other options: the institutional anteroom, the
sadness of the Libere Forme Associative (the list of associations
of Bologna) and their little rooms, but here we should talk about
the agreements, the criteria and the peculiar kind of relationships
behind all this, the burocratic greyness and little mafias, the
transformation of artists into officials etc. but let go for the
moment and just say: to pay or to occupy are the two methods that
enable a local cultural venture to be faster and more informal than
an average one in Italy, let's say: more european-like. So, since I'm
too much a loner to put on a group of squatters, I pay a rent to
promote culture in a street invaded by little, chic fashion shops
(exceptions: the Women Bookshop, the Bus Drivers Circle, The
Fortitudo Gym). Some humanity's left, though, between a shopwindow
and the other: the historic homeless Stefano, reading La Repubblica,
sitting all day long on the pavement under the Portico, like a Buddha
the minister Minniti was not able to chase away yet; some ancient
drug-addicts; some saviours of cats and birds, spreading breadcrumbs,
opening cans etc. All figures that discredit the street in esthetical
terms and distinguish it in human terms. And then there are my
neighboroughs, properly: eight african refugees and a lawyer's
office. Such a patchwork, one must admit, in a little condo, just
three flats (an art atelier, three middle-class young lawyers, eight
just-got-off-the-boat black guys), well, it's something only
catholics could attempt, probably forced by this new Bishop, anyway:
the whole property is owned by the local Church. About the street,
again: some grocery shops are going to shut down, some others are
resisting, all these shops sell artisanal products from the south of
Italy at a normal price, yet they are in crisis. Meanwhile a lot of
little Coop, Pam and Carrefour are opening everywhere in the centre:
little supermarkets for tourists. And for something more radical-chic
(that is: with some taste, though less and less, at a decent price,
though less and less) there is Eataly, Mercato di Mezzo and Mercato
delle Erbe.
Here
it is: a map of food consumption already typical of a tourist town,
though in neo-cooperative sauce. I think we should fight for a
different future for Bologna. The defense, and rebirth, of places
like Labas or XM24 (alternative, informal, convivial, politically
spurious spaces) is part of this battle against the touristic setup
to come.
To
have an idea of what living in a tourist town means, here's a preview
of the new book by Marco D'Eramo: https://www.che-fare.com/marco-deramo-la-citta-turistica-c…/
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